Difficile
questa terra d’Abruzzo, fatta da aspre
giogaie montuose, e valli come enormi solchi
che non si intersecano… impossibile gestirla
senza l’operato dell’uomo, e non so se
questo è un bene o un male… perché mi capita
molto spesso di ripensare ai luoghi in una
loro veste passata, e forse questa terra
sarà stata ingestibile ma tanto tanto
affascinante nel suo tormento naturale.
Avevo
gli occhi aperti eppure ho creduto di
sognare, l’autostrada è in alto rispetto
alle valli, così in alto che mi è sembrato
di volare, sospesa a mezz’aria tra la terra
e i miei pensieri… la sagoma allungata ed
incombente del massiccio della Maiella
diventava una cortina invalicabile, e
pensavo che niente di più bello ci potesse
essere in quel momento a creare lo sfondo
perfetto per le mie allucinazioni da
viaggio… mentre i monti brulli si
srotolavano in una gamma di colori a svanire
fino alla cima rarefatta del Corno Grande.
La
bellezza assoluta è arrivare a Campo
Imperatore, desiderio di tutta una vita… nel
primo pomeriggio il verde dei pascoli è
intenso, brillante, e si accompagna alle
morbide e irregolari groppe collinari, i
greggi in lontananza sono puntini bianchi in
movimento… quando improvvisamente appare la
forma frastagliata e imponente del Corno
Grande quasi intrappolata tra nubi bianche e
leggere, ho esultato per il rapimento di
quel momento quasi onirico, di una bellezza
compiuta, divina… e mi è difficile
dimenticare quella sensazione di
vulnerabilità ma di pace, perché anche i
sogni più complessi non riusciranno mai ad
eguagliare quello che la terra stessa già ci
offre, e sarebbe peccato il contrario,
mettersi in una stupida competizione con
quello che realmente ci governa. Si può però
cavalcare un sogno, e costruire borghi
aggrappati alla roccia come nidi di rapaci,
o un castello sulla cima impervia di un
monte, come quella Rocca Calascio, che nella
sua solitudine di quasi rudere, è un dono
alla signora montagna, una gemma incastonata
nella corona dei suoi monti.
E
signora montagna è madame Maiella, che è
accogliente come un abbraccio… e nel suo
cuore verde, la pietra erosa ha creato
luoghi segreti in gole aride, di una
bellezza elementare eppure complessa,
rifugio di eremiti alla ricerca di un
rapporto con dio che si cela in una natura
solitaria e spartana…
Delle
conseguenze del terremoto io ne assaporo
amaramente la tristezza delle mie belle
chiese romaniche sbarrate, perché ingabbiate
dai ponteggi… il bell’ambone di Santa Maria
del Lago imprigionato perché amato… la terra
qui trema e fa paura da sempre ma non
cascano come contemporanei castelli di
carte…
La
gioia però è immensa quando arrivo alla
tanto sognata meta architettonica… tra tutte
la più bella, Santa Maria in Valle
Porclaneta… semplice struttura quasi dipinta
su di un orizzonte sul quale troneggia il
monte Velino che è una divinità buona, e poi
il cancello cigola e si apre il portale di
legno, e mi scoppia il cuore perché si
compie un’ideale, tutta insieme la
perfezione di quella che per me è la vera
bellezza… la semplicità di forme quasi
arcaiche, il marmo lavorato come fosse un
merletto nell’intreccio di storie bibliche…
un’ascensione lenta e commovente si compie
dalla navata all’abside, ritmicamente
perfetta, e senza essere stupefacente o
altezzosa.
Il
romanico di questa regione è quanto di più
bello abbia mai visto, perché ricco di quel
“timor di dio” che ha dato forma a questi
scrigni di bellezza in pietra, che sono
quasi sempre isolati in una natura che
ancora una volta è degna di silenzioso
rispetto…
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