XXX
Sospesa in aria, le nuvole montate di consistente morbidezza ricoprono le terre strappate al mare. E dal macro al micro la geometria irregolare dei campi è un disegno preciso e poi una distesa di colore e profumo inatteso, spalanco occhi per ritagliare e narici per ricordare. Pedalo felice e stordita fino al mare, la spiaggia è una foto sbiadita di sinistra poesia, raccolgo conchiglie in tinta dalla sabbia umida e guardo il vento che smuove luci, ombre e i cespugli spinosi delle dune.
Amsterdam
fuori è esplosione di gioia, colori e forme con il loro
specchio… persone,
facciate ordinate, foglie dorate dal sole e fruscianti
nel vento, tutte a
rincorrersi mosse dalle acque dei canali. Un mondo vero
e riflesso che risplende
nell’aria gelida.
Dentro Amsterdam è la bellezza dolorosa della sua pittura, i bruni del secolo d’oro e i fuochi vivaci del novecento. Nel cuore dei palazzi figure severe vestite di nero e incorniciate nel bianco candore delle gorgiere mi fissano nel mio passaggio. I sindaci dei drappieri di Rembrandt seguono occhi seri la mia devozione che è ad un passo dalla loro faccia dipinta, e ho una vertigine come dinanzi al dottor Tulp viso paonazzo che disseziona il corpo marmoreo. Poi la pennellata si fa irregolare e le sue figure sono mosse come da una vibrazione, colore raggrumato che rende vive le espressioni, e occhi e bocche che mi sussurrano. Ma è lui, il mio Veermer che mi fa tremare e morire di piacere. Mi infilo cauta dentro le sue tele, in quegli angoli casalinghi estranei al mondo esterno, osservo gli oggetti e la luce, e in silenzio la materia pittorica prende vita davanti ai miei occhi increduli. La lattaia versa liquido opaco che scorre nel bagliore luminoso che lo colpisce, lo amo di un amore doloroso, vorrei possedere quel pensiero quella grandezza, divorarne la semplice perfezione. E lo seguo per le strade di Delft, il cielo carico di pioggia che non cade, nelle ombre scure delle facciate in tessitura. Mi fermo, e cedo alla stanchezza, all’ebbrezza e alla felicità.
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